Non si può morire di università

condividi su

Non si può morire di Università.
E invece è successo di nuovo: una studentessa di 19 anni di Milano ha scelto di togliersi la vita perché credeva di aver fallito nel conseguimento degli esami.
Negli ultimi tre anni ci sono stati una decina di casi di suicidi di giovani studenti: è un sintomo evidente di una generazione che soffre.
L’ultimo di qualche giorno fa ha riaperto i riflettori sui troppi episodi di suicidio o tentato suicidio degli studenti universitari in questi anni.
Spesso sono storie di ragazze e ragazzi che non riescono a soddisfare gli standard che avrebbero voluto raggiungere.
La narrazione a cui gli studenti sono abituati li sottopone a continuo stress, isolando chi si trova in difficoltà.
Viene chiesto perennemente di ambire all’eccellenza, viene insegnato che il vero valore dipende solo ed esclusivamente dai nostri voti.

È necessario ripensare il modello d’istruzione nel nostro Paese. Non è possibile continuare a vivere le carriere universitarie come una perenne competizione, come una gara a chi raggiunge il risultato più alto nella quale chi non vince diventa automaticamente un fallito.
Non possiamo stare zitti davanti ad una ragazza che sceglie di mettere fine alla sua vita a causa del suo percorso di studi.
Questo sistema universitario continuerà ad uccidere.
Bisogna prevenire: serve costruire un sistema accademico in grado di insegnarci che non siamo numeri, ma persone.
Per schierarci contro il merito che uccide ci siamo visti Martedì 7 Febbraio nel cortile di Scienze Politiche, per formare uno spazio libero e aperto dove ciascuno ha espresso i propri pensieri.


Ci siamo fermati a parlare su quanto è accaduto in queste settimane e per schierarci chiaramente contro ad un modello di competizione e di “merito” che produce vittime.
L’intera comunità studentesca è stata scossa dalle notizie delle troppe morti.
Purtroppo non si tratta di un caso isolato; infatti, la settimana precedente, uno studente di Palermo di 22 anni si è suicidato prima dell’inizio della sessione degli esami, lasciando un biglietto con su scritto “fallimento, università e politica”.

Nella società non contano difficoltà, ostacoli e disturbi, ma vince sempre la ricerca del successo, la competizione e l’esaltazione dell’eccellenza.
La narrazione giornalistica continua a concentrarsi su sporadici casi di ragazzi prodigio e super laureati, dimenticando che il successo negli studi talvolta non è il frutto esclusivo di impegno e preparazione. Non possiamo accettare che la società continui a ritenere che chi rimane indietro valga di meno.
Questo pomeriggio lo abbiamo voluto dedicare a Francesco, Riccardo, Claudio, Andrea, Mariano, Alberto, Matteo, Stefano e a tutte le persone che non ci sono più, perché la nostra società non è stata in grado di farle sentire accolte.

Ci viene insegnato che il nostro valore dipende solo dai nostri voti.
È necessario ripensare il modello d’istruzione nel nostro Paese.
Non possiamo stare zitti davanti alle morti di ragazze e ragazzi che scelgono di mettere un punto alla propria vita.
Per evitare casi del genere e sviluppare un modello migliore, occorre investire su un sistema accademico in grado di insegnarci che non siamo numeri, ma persone.
Serve schierarsi contro il merito che uccide, senza lasciare indietro nessuno.